Dalla magia al politicamente corretto: la Disney, colosso da oltre 200 miliardi di dollari, negli ultimi anni ha abbracciato l’agenda liberal e postmoderna del “politicamente corretto”.
Cosa significa? Maggiore spazio nei film e cartoni animati a minoranze etniche, di genere e sessuali, con censura di scene che potrebbero risultare offensive.
Un esempio? Il cortometraggio “Steamboat Willie” del 1928, con Topolino bullizzato da Pietro Gambadilegno, potrebbe essere censurato per la sua “violenza gratuita”.
Ma è davvero necessario? La storia umana è ricca di discriminazioni e violenze, ma negli ultimi decenni sono stati fatti grandi progressi in tema di diritti civili e parità di genere.
Disney e la “cancel culture”: la società americana ha sposato la causa della “cancel culture”, arrivando a cambiare il nome di una torre universitaria perché il filosofo David Hume aveva espresso opinioni razziste.
Elon Musk contro Disney: il patron di Tesla e SpaceX ha deciso di coprire le spese legali di chi è stato discriminato o licenziato dalla Disney per non aver rispettato la policy aziendale sul “politicamente corretto”.
An anonymous source just sent me this from Disney. It is mandatory, institutionalized racism and sexism! pic.twitter.com/npMy8YfA1j
— Elon Musk (@elonmusk) February 6, 2024
Il caso di Gina Carano: l’attrice è stata licenziata dalla serie TV “The Mandalorian” per alcune sue dichiarazioni sui social network.
Standard di inclusione: un documento interno alla Disney impone che il 50% dei personaggi nei film e cartoni animati debba appartenere a “gruppi sottorappresentati”.
Tracotanza postmoderna: la Disney rischia di soffocare la libertà creativa con regole rigide e oppressive.
La lezione di Steamboat Willie: il tracotante Gambadilegno finisce accecato dal suo stesso tabacco. La Disney dovrebbe ricordare questa lezione e non censurare la sua ricca storia.
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